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Nel 1909 il Municipio di Palermo, interprete della volontà popolare, eresse nella piazza Stazione Lolli, in prossimità della Via Dante, un monumento a Giovanni Meli, il più importante poeta dialettale siciliano.
Il monumento è costituito da una statua bronzea del poeta posta su un alto piedistallo in marmo.
L’opera fu scolpita da Pasquale Civiletti, che raffigurò il poeta in un atteggiamento pensoso e riflessivo, quasi malinconico, non riflettendo sul temperamento arguto ed estroso del grande poeta.
Giovanni Meli nacque il 6 marzo 1740 nel quartiere di Castellammare ed abitò, prima in Via Seminario Italo-Albanese ed in seguito al n. 331 della Via Maqueda, dove morì il 20 dicembre 1815.
E’ stato sepolto nella chiesa di San Domenico, Pantheon degli uomini illustri come lo definì il grande erudito, conoscitore di opere d’arte, Agostino Gallo: ” Il Meli fu l’uomo ed il Poeta prediletto dalla natura, il filosofo del buon senso, il filantropo virtuoso e complessivamente uno di quei mortali che più onorano la nostra specie, per il fulgor dell’ingegno e per le nobili e rare qualità dell’animo, uno di quei che la Sicilia può contrapporre nei tempi moderni agli antichi suoi geni”.
Spirito bizzarro, ironico e conoscitore delle frivolezze del suo tempo, Giovanni Meli, oltre ad esercitare la professione di medico a Cinisi, insegnò chimica generale all’Accademia degli Studi di Palermo, la futura Università della città.
Egli, nonostante non avesse mai preso gli ordini religiosi, né ottenuto mai un’abbazia, indossò l’abito talare e fu impropriamente chiamato abate, e ciò perchè nei tempi in cui visse, un “plebeo”, quale egli era, non poteva essere avvicinato da un aristocratico o accolto nei salotti dei nobili, o frequentare, senza maldicenze, alcuni monasteri femminili dove egli si recava spesso in qualità di medico.
Ma la vera fortuna poetica del Meli è collegata al mecenatismo del nobile Antonio Lucchese Palli, principe di Campofranco, che consentì all’abate e poeta medico di essere ammesso all’Accademia della “Conversazione Galante”, da lui stesso fondata e frequentata dai più noti personaggi dell’epoca.
Chiamato il “Teocrito” siciliano, pervenne nell’Olimpo della poesia per la sua stupenda trattazione dei temi arcadici e per i suoi squisiti versi in vernacolo siciliano, colmi di freschezza, di sentimento e di sincera genuinità, che cantarono la vita dei campi in un ambiente arcadico.
Scrisse “La Fata Galanti”, sua prima composizione, “Egloga in lode del gatto” , ” L’origini di lu munnu”, “Poesie pastorali”, etc…. in gran parte tradotte in italiano, latino, greco, francese, inglese e tedesco.
Per i suoi canti voluttuosi, teneri e commoventi, il Meli è paragonabile a Catullo ed ai migliori poeti latini, mentre per le sue bellissime canzonette, colme di delicata grazia e di profonda malinconia, si rivela degno di Anacreonte.