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Di Anna Casisa
La Cala, il tratto di mare tra il molo meridionale del porto ed il Castellammare, è ciò che rimane dell’antico porto di Palermo. Unico approdo cittadino fino alla seconda metà del XVI secolo, la Cala per molto tempo mantenne tutto il fascino dei tipici porticcioli mediterranei. I pittoreschi e variopinti pescherecci ivi ormeggiati e le splendide facciate degli antichi palazzi che la circondavano ne facevano un posto particolarmente attraente.
Poi, il degrado: la guerra, i danni bellici, il restringimento del suo specchio d’acqua e il venir meno delle sue antiche funzioni di scalo, come ricorda Giuseppe Bellafiore nella celeberrima Palermo guida della città e dintorni. Lungo i suoi pontili, ancora agli inizi della seconda metà del secolo scorso, continuavano a trovare ricovero i pescherecci di Palermo. Erano le barche degli storici pescatori palermitani, solo per citare i più famosi, Lupo, Giuliano, Lo Nigro, Conti, Sansone, Spagnoli, Camarda, Spataro, altrimenti noti rispettivamente come Lupiceddi, Dorilla o Murischi, i Nivuri, Giachelli, Sansuni, Spagnuleddi, u Mirruzzu e Spataru. Tutte note famiglie dedite alla pesca da diverse generazioni e tutte residenti per lo più nella vicina Kalsa e in quello che un tempo fu l’antico borgo di San Pietro.
A ricordarci di loro, e sopratutto a parlarci di una Palermo che non c’è più, è l’ultra ottantenne Pino Giuliano, noto nel mondo ittico più come u zu Pinuzzu Dorilla. Noi, i Giuliano, afferma con orgoglio l’anziano uomo – siamo una storica famiglia di pescatori e sicuramente la più antica tra quelle poche ancora in attività a Palermo. Da alcune ricerche, che ha effettuato mio figlio Salvatore negli archivi della chiesa Santa Maria della Pietà alla Kalsa, la nostra parrocchia, è emerso che già nel XVII secolo la famiglia Giuliano era dedita alla pesca. Pinuzzu Dorilla è un mito tra quanti operano nel settore ittico e non c’è pescheria di Palermo che non lo conosca. E’ considerato l’ultimo vecchio lupo di mare della città, e anche se da qualche anno ha ufficilamente consegnato il timone di Seconda Stella Maris, il peschereccio di famiglia, al figlio Nino, non riesce ancora a dire addio al suo mare. Quando il tempo è clemente, è facile incontrarlo insieme al resto dell’equipaggio sul pontile ovest della Cala. E’ lì che Seconda Stella Maris è ormeggiata. Prende il largo tutti i giorni all’imbrunire e fa rientro solo alle prime luci dell’alba. Buona parte dell’equipaggio, dodici persone in tutto, è costituito dai figli e dai nipoti di Pino Giuliano. Oltre ai figli Nino, il comandante, Mimmo, il macchinista e Piero, il capo pesca, ci sono i giovani nipoti Giuseppe e Attilio, rispettivamente figli di Nino e Piero. Tutti abilissimi pescatori, ma nessuno riesce a fiutare il mare come il vecchio. Non serve l’ecoscandaglio quando c’è lui sulla barca, dove indica di calare le reti il pesce c’è sempre. E non solo. A seconda della schiuma che fa il mare o dell’arricciamento delle acque o ancora ra morti i l’acqua ( quando tramonta il sole ) Pinuzzu Dorilla riconosce il pesce che sta sotto. E così se gli si sente urlare fitura ri anciova l’equipaggio sa che si tornerà a casa con un bel carico di acciughe.
Come conosce la costa mio padre non la conosce nessuno – afferma suo figlio Salvatore. Il litorale palermitano ogni dieci metri ha un nome diverso, tutti nomi antichissimi e mio padre è uno degli ultimi depositari di questo antico sapere, ricorda ancora perfino i nomi della costa di quel tratto di mare oggi occupato dal nuovo porto, come porto pidocchio, oggi non più esistente. Si commuove l’anziano pescatore quando ricorda la sua vita in mare, un mare troppo in fretta abbandonato, dimenticato, e ingiustamente in una città il cui nome significa tutto porto. Ancora agli inizi della seconda metà del secolo scorso per chi giungeva qui alle prime ore dell’alba, non era difficile assistere al rientro delle barche cariche sempre di tanto e prezioso pesce azzurro pescato alla Barra o al Vievitru, rispettivamente a dodici e otto miglia da Palermo. Sardine, vope, sgombri, acciughe e sugarelli costituivano per lo più il frutto di un’ intera notte trascorsa in mare. Subito dopo lo sbarco sulla banchina prendeva vita la vendita all’asta del pescato: un folcloristico vociare tra clienti e rigattieri, incomprensibile ai non addetti ai lavori. Della vivacità di quei giorni resta ben poco oggi: qualche anziano pescatore con la sua piccola barca e Seconda Stella Maris: il peschereccio dei Giuliano, l’ultima grande imbarcazione della pesca al Cianciolo della Cala e ancora in attività.