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“Alle quattro andai al palazzo del Duca (Domenico Antonio Lo Faso e Pietrasanta, duca di Serradifalco), nella strada di Cassero che l’Immacolata percorre in tutta la sua lunghezza, nel cammino che fa dalla Chiesa di S. Francesco, sua residenza abituale, alla Matrice o cattedrale, dove va a trascorrere una settimana; trascorso questo termine, se i suoi fedeli servitori, i monaci di San Francesco, non dovessero andare a riprenderla con tutta la pompa dovuta, ella sarebbe rivndicata e trattenuta dai monaci della Matrice. C’è ben poco da temere, io credo, che quelli si dimentichino di una scadenza così importante.
Le prime avvisaglie della processione erano torce di stoppie che venivano portate accese nella strada e seguite da contadini che suonavano cornamuse, tamburelli e castagnette. Le cornamuse sono enormi con la piva più grande lunga tre o quattro piedi; alcune di esse sono di un bel legno nero, con chiavi di argento. I tamburelli, al contrario, sono piccolissimi, completamente privi di cartapecora, consistendo solo in cerchi arricchiti da sonagli; si tengono nella mano destra e vongono suonati battendoli ritmicamente contro il polso e l’avambraccio sinistro. Dopo questi rustici musicanti veniva una confraternita di penitenti a capo scoperto e a piedi ndi, con corde attorno al collo e corone di spine in testa; accompagnati e rallegrati, non ostante tutto, da cornamuse, tamburelli e castagnette. Veniva poi una confraternita di signori spazzini, vestiti a nero e a capo scoperto; capelli graziosamente arricciati e pantaloni rimboccati che mostravano gambe e piedi nudi. Questi signori avevano in mano scope nuove, con le quali spazzavano la strada per il passaggio dell’Immacolata: precauzione, questa, tutt’altro che superflua qui, se desidera camminare senza sporcarsi i piedi. Dopo di loro un’altra confraternita, provvista di cesti di erbe e fiori, cospargeva di questi la strada appena spazzata ed era seguita da un gruppo di penitenzieri in bianco, con scarpe e cappucci dello stesso colore. Seguiva un gruppo di monaci neri e poi uno di bourgeois con bandierine d’argento; poi varie confraternite e congregazioni; e ancora la milizia volontaria cittadina con la sua banda, che formavano un curiosissimo corpo di cavalleria. Seguiva un baldacchino molto bello di broccato dorato, sotto il quale camminavano di dignitari ecclesiastici, con il loro Arcivescovo che portava l’ostia consacrata; e subito dopo veniva la statua dell’Immacolata, on il suo altare e ceri, potata a spalle da sessanta traportatori e accompagnata da altri sessanta che indossavano la stessa uniforme, pronti a dare il cambio ai primi.
Immadiatamente dopo la statua camminava, con una candela in una mano e la feluca nell’altra, Sua Eccellenza il generale Tschudy, governatore generale della Sicilia, che praticamente svolge le mansioni di vicerè del regno. Dietro di lui venivano il Prefetto o Preposto, i nobili, consiglieri, senatori ed altre personalità pubbliche; infine un reggimento di guardie e dragoni, mentre le carrozze di rappresentanza dei governatori, senatori e degli altri personaggi importanti chiudevano la processione Le balconate con grate delle monache erano affollate ed il pensiero del contrasto che in basso il gaio mondo offriva con i loro monotoni conventi sarebbe bastato ad intristirmi se ne avessi avuto il tempo.
Ci congedammo dal Duca dopo che questi ebbe offerto a tutta la copagnia quei deliziosi gelati di pistacchio per i quali Palermo va giustamete famosa e che nonostante si fosse in dicembre, sono un vero lusso, e anzi, con questo clima, qualcosa di quasi necessario”.