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L’anno del Signore 1492 fu per gli ebrei siciliani l’anno della loro espulsione dall’Isola, come da tutti i possedimenti ebrei in terra spagnola. Fu il natale dei “marrani”, di coloro cioè che per difendere la propria famiglia e le proprie cose dovettero accettare la croce di Cristo ed un Messia che ancora deve venire. Chissà se veramente divennero cristiani, i convertiti, o, se nelle grotte numerose del quartiere continuarono di nascosto a celebrare i loro riti giudei. Gli ebrei, a Palermo, e per diversi secoli, risiedevano in una zona fuori delle mura della città a cui si accedeva dalla Porta Giudaica, e nel periodo di maggiore fulgore, in tempo di pace, il quartiere brulicava di migliaia di persone, divisi in tre grossi raggruppamenti , tra poveri, meno poveri e ricchi, ma tutti operosi ed importanti per l’economia della città. Essi si dedicavano molto alla lavorazione dei metalli, quindi era importante stare in luoghi acquitrinosi, dove potere temprare i loro manufatti. Il “giardinaccio” a ridosso delle mura meridionali e nei pressi del “fiume del maltempo” si presentava come luogo adatto dove costruire la loro Sinagoga, la loro “Meschita”, la loro “Guzzetta”. Una buona idea, di qualche uomo di cultura illuminato, ha fatto si che oggi le strade che una volta furono ebree, siano indicate con targhe trilingue, Italiano, arabo ed ebreo, così che un qualsiasi turista può capire che si trova nel quartiere che sino al 1492 fu abitato da ebrei. Un Concilio, il IV Lateranense ed una bolla di Paolo IV pose fine a questa interessante storia, perche pur tra alti e bassi i “perfidi giudei” anche se “segnati” ( con pezzi di stoffa e simboli di vario colore) erano stati sempre accettati dal popolo siciliano. Durante il periodo musulmano c’era da pagare la “gizia” per professare il proprio culto, con Federico II furono diversi i momenti a seconda del rapporto tra il Papa e l’Imperatore, ma nell’insieme gli ebrei, in Sicilia, prosperavano. Fu la loro ricchezza, probabilmente, motivo di rovina, ma, nel 1492 a Palermo e dintorni dovettero vendere e lasciare tutto. Ne approfittarono i notai del tempo, qualche nobile e qualche Congregazione che cercava spazio per costruire i loro luoghi di culto; Benedettine, Agostiniani riformati, Carmelitani, etc.
Della loro cultura ai siciliani è rimasto tanto, e tantissimo si è disperso. Nel cuore del loro quartiere oggi sorge la Chiesa di San Nicolò da Tolentino e l’Archivio Comunale con la bellissima architettura progettata da Damiani Almejda, che nel disegnare il prospetto si rifece, un pò, alle sinagoghe del suo tempo. Quasta costruzione si trova in Piazza della Meschita all’interno della parte centrale dell’ebraico quartiere, dove probabilmente vivevano i maggiorenti e coloro che lavoravano con il fuoco e con l’acqua. Poco distante, nella zona di pertinenza della Casa Professa dei Gesuiti, ancora si può trovare il mikveh che per la religione ebrea era obbligatorio nei pressi delle case, per i bagni usuali di rito. Era necessaria acqua pura, cioè filtrata naturalmente, e nei pressi passava il Kemonia, che permetteva tutto questo. Sono rimasti nella nostra cultura molti piatti, sopratutto di carne ( pane con milza), e un taglio di carne particolare detto “judisco” o giudisco. Sono attorno a noi, ancora oggi, famiglie che si chiamano Lo Presti, Sala, Scimeca etc., conosciamo tutti l’arco della Meschita, la via della Giudecca, la Portella dei Giudei etc. Nonostante il passare e il logorio del tempo dopo più di 500 anni continuano a sopravvivere in Via dei Calderai, antichi mestieri che gli ebrei praticavano negli stessi luoghi. La costruzione di una Giudecca non poteva prescindere dalla vicinanza dell’acqua, dalla possibilità di costruire nel centro la Sinagoga, dalla possibile vicinanza, anche se fuori della giudecca, del cimitero, dal potere disporre di un proprio macello, che nel nostro caso era situato nell’area dove poi sorse il Teatro Santa Cecilia, mentre il cimitero era situato fuori l’ex Porta di Termini. Il Kemonia e le sue inondazioni fu per questa gente motivo di ricchezza, il fiume detto del maltempo, che attraversava il loro quartiere e lambiva le loro case, oltre a “purificarli” raffreddava i loro metalli e li temprava, era motivo di lavoro e di incontri, ma ha anche visto tante lacrime e tanti addii in quel 1492, anno di espulsione dei giudei dalla Sicilia.