I fiori di Palermo

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La nostra gita mattutina prediletta era a villa Belmonte, una tenuta più che altra mai incantevole, alle falde meridionali del Monte Pellegrino, che domina dall’alto l’Acquasanta, la stazione marina preferita dall’aristocrazia palermitana. Dalla grandiosa entrata della villa un largo viale serpeggia su, traverso un boschetto di limoni alla villa Belmonte. A ogni lato vi sono siepi di gerani, di fichi d’india, vaniglia e caprifoglio, conserti cespugli d’ogni specie di verde. Pini, e mirti, elci, cipressi e curiose piante di pepe formano dei boschetti e di fronte alla grande casa vi è un “giardino italiano” ornato di statue, vasi, gradinate e balaustrate. Fra i rosai vi sono sedili di marmo, dove è grato sedere al sole mentre l’occhio vaga sull’incantevole distesa della Conca d’Oro. Il mormorio della città è portato dalle dolci brezze, e il canto dei flutti che rimbalzano sorge dalla spiaggia sottoposta. Il suono delle voci lontane, il riso di fanciulli che giocano, giungono appena, dolcemente attenuati, all’orecchio. Le note dei tordi e degli usignuoli,nascosti fra le macchie, e delle allodole che trillano nell’alto riempiono l’aria di letizia. I profili dei colli e dei monti così ricchi di colore appaiono tremuli, avvolti nelle nebbie che s’innalzano nella tiepida aria. Molli ombre aleggiano traverso il paesaggio, e quando la luce del sole le sospinge via dalla Conca d’Oro, sembra invero un paradiso terrestre. Dalla città in sino a qui si stende verso sud-est un lungo un lungo semicerchio di sabbia gialla, aurea frangia d’un mantello di verdi prati che scendono al mare con dolce pendio. Tutta l’aria è tranquilla, non quasi prodigiosamente silenziosa come nei valloncelli solitari fra i selvaggi picchi del Cuccio e di monte Grifone; ma una pace calma e piena di riposo che sembra covare dove tutta la natura è bella. Tale è il prospetto che si gode da villa Belmonte e l’osservatore, nella fantastica contemplazione delle sue bellezze, s’inebria di tutte le vedute, di tutti i suoni e profumi deliziosi di quel luogo incantato. Nel “giardino italiano” ci passammo alcune mattinate, nelle quali ci provavamo sì a leggere, ma sempre ci sorprendevamo a guardare di sulla pagina, troppo svegliati per prestar mente a ciò ch’era scritto, mentre quello che ci si trovava dipinto dinanzi era sì voluttuosamente delizioso che distraeva gli animi nostri da una apparenza qualsiasi di studio e di lavoro. Quando avevamo la buona ventura di incontrarci nel giardiniere che aveva la custodia di questo paradiso, tornavamo a casa con una bracciata di fiori che egli coglieva per noi, dandoci intanto il permesso di coglierne altri, quanti più ci piacessero, da noi stessi.Quando poi non incontravamo il nostro bravo compare ne’ suoi soliti viali, salivamo alle alture, dietro la villa, e ci davamo a cogliere i fiori silvestri che crescevano a profusione, verso la campagna; e mentre ritornavamo a casa, nella luce del sole, coi nostri tesori, non ci volevamo quasi persuadere di averli trovati alla latitudine di Washington così precocemente fioriti, in gennaio.