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“Lo scalone era il pezzo di bravura dell’architetto nelle fabbriche suburbane; esso è il fulcro e centro di attrazione dell’impianto coreografico. La facciata acquista la sua funzionalità scenica attraverso il movimento dello scalone; è questo che ne esalta la maestà prospettica, che le conferisce potenza dinamica, abbracciando con le due rampe lo spazio della corte. Tutta la funzione aulica della villa è centrata in questa macchina architettonica: corre per l’ascesa dei balaustri, si arresta sul poggiolo, che fa da piedistallo alla statua vivente dell’aristocratico in campagna.
Ma lo scalone della villa palermitana riflette nelle sue movenze l’originalità isolana dell’assolutismo, ridotto da tirannia di stato a tirannia famigliare. Così vi osserveremo una certa rilassatezza indolente nel suo digradare verso la corte; esso comanda i corpi bassi, ed allo stesso tempo li lusinga. In confronto gli scaloni di Caprarola o di Caserta, per citare esempi insigni, sono ben altrimenti dispotici, mentre anche l’espressione architettonica dell’assolutismo siciliano, pare temperata dal paternalismo aristocratico”.