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La chiesa madre Maria SS. Annunziata di rito latino
Situata a monte della Piazza Umberto I, tra l’annesso “Castello” che fu in passato dimora dei Corvino e la Matrice Greca. La chiesa originaria, di piccole proporzioni, fu costruita dopo l’espulsione dei saraceni, durante la prima metà del sec. XI, così testimoniano le ricerche effettuate dal Pirri e dal Raccuglia e riproposte da Ignazio Gattuso. Si presume che la chiesa originaria fosse ad unica navata senza abside e che tra il 1527 e il 1572 venne attuato un primo intervento di ampliamento per adeguarla all’aumento della popolazione, avvenuto proprio in quegli anni; in seguito, venne riaperta al culto e intitolata alla S.S. Annunziata.Nel 1680 la chiesa venne ampliata definitivamente in direzione opposta all’ingresso, occupando parte del giardino del “Castello” e alcuni lotti di terreno su cui insistevano delle vecchie abitazioni abbattute in quel periodo per far posto alla nuova costruzione.  
L’impianto attuale presenta una pianta a croce latina, suddivisa in tre navate con transetto, mentre la nuova configurazione della facciata esterna (intervento del 1924)  presenta tre portali sovrastati da archi a sesto acuto, due rosoni e una scultura marmorea, disposta nel timpano, contenente l’effige dell’Annunziata.All’interno della chiesa si trovano sulle pareti, una scultura del Crocifisso, in legno policromo del 1693 di ignoto scultore siciliano e due dipinti settecenteschi, due grandi tele raffiguranti la Comunione di Santa Rosalia, la Vergine che appare a San Vincenzo Ferreri e l’Annunciazione; pregevole inoltre, la suppellettile sacra (Trittico in oro – Pisside donata dal Marchese di Rudinì – due crocifissi in avorio) e le numerose statue lignee presenti all’interno delle cappelle poste a ridosso delle navate laterali. 
 
 
 
 
   
Chiesa di San Nicolò di Mira di rito greco-bizantino
Disposta a fianco della Matrice Latina si affaccia su Piazza Umberto I, di cui costituisce una impareggiabile cornice insieme al vicino “Castello”. La chiesa fu costruita nel 1516 a ridosso di una Torre già esistente e fu aperta al culto nel 1520, ma non passò molto tempo e, per l’aumento della popolazione e dei fedeli, si rivelò piccola, così intorno alla fine del ‘500 venne abbattuta e ricostruita nello stesso posto secondo le esigenze del rito greco-bizantino. Agli inizi del ‘600 risalgono i lavori per la costruzione del campanile, che consistettero nella sopraelevazione della Torre nella quale si trovava l’orologio pubblico. A partire dagli inizi del ‘700 e durante la seconda metà dell’800, la chiesa subì numerosi interventi di trasformazione interna che ne mutarono l’aspetto originario.In particolare durante la seconda metà dell’800 furono abbellite le superfici interne della chiesa, con decori di stile greco e tutte le cappelle presenti al suo interno. Attualmente l’edifico presenta un impianto a navata sormontata da una volta a botte, all’interno si trova l’iconostasi che contiene icone bizantine del XVI sec., una Theotokos del XIII sec., un Crocifisso d’avorio su croce d’ebano del XVII sec., una crocetta athonita di legno e numerose statue lignee. 
 
 
 
Santuario della Madonna dei Miracoli di rito latino     
Il Santuario si trova nella parte più bassa dell’abitato e la costruzione di questo è legata ad una leggenda secondo la quale, “un giorno arrivò nel nostro paese un uomo ammalato di lebbra. Quando gli abitanti se ne accorsero, temendo il contagio, lo cacciarono. Egli allora si rifugiò in un boschetto e li si addormentò; mentre dormiva  vide in fondo ad un roveto l’immagine della Madonna col Bambino in braccio dipinta su un grosso masso di pietra arenaria. L’uomo si avvicinò e sentii la voce della Madonna che gli diceva di andare in paese e dire agli abitanti che voleva si costruisse una cappella proprio in quel punto e in testimonianza di ciò lo guarì dalla sua malattia facendolo lavare con l’acqua che sorgeva in quel luogo. Egli si recò in paese, diede la notizia agli abitanti che in breve tempo costruirono, in quel luogo, una cappeletta per venerare la Vergine Santissima, che da loro fu chiamata “Madonna dei Miracoli”.La chiesa sorse in seguito, quando gli abitanti di quel quartiere presero un carro con dei buoi e misero il masso sul carro per trasportarlo verso il paese. Si racconta che ad un certo punto i buoi si fermarono e non ci fu modo di farli andare più avanti. La gente interpretò il fatto come se la Madonna avesse voluto che in quel luogo si erigesse un Santuario e proprio in quel luogo fu eretto l’attuale Santuario”.Il Santuario è ad unica navata contornata da quattro altari, decorati con stucchi e fregi in gesso, l’altare contenente la statua della Madonna dei Miracoli, quella dei SS. Cosma e Damiano, quello del Sacro Cuore, quello dell’Ecce Homo e quello del Crocifisso.Nell’abside sono posti due dipinti del pittore Celestino Mandalà, oriundo di Mezzojuso, che raffigurano due scene della leggenda: l’apparizione della Madonna al lebbroso e i buoi che trasportano il carro contenente il masso. Sopra l’altare è collocato il masso ritrovato recante l’immagine della Madonna dei Miracoli che tiene stretta a se il Bambino. L’autore di questo dipinto è ignoto.

 
 
 
 
Chiesa di S. Maria di tutte le Grazie di rito greco-bizantino
Collocata a ridosso del Monastero Basiliano, si dispone su un ampio piazzale su cui si innesta l’attuale via Andrea Reres. La chiesa, già esistente, fu affidata, in virtù delle “Capitolazioni del 1501”, ai greco – albanesi arrivati a Mezzojuso alla fine del XV sec., con l’obbligo di riparala e ripristinarvi il culto. Da quel momento la chiesa prese il nome attuale e vi si cominciò ad officiare il rito greco – bizantino e com’era uso in tutte le chiese, venne fondata una confraternita intitolata a Santa Maria di tutte le Grazie, che ebbe il compito di curare e governare la chiesa fino al 1650.Dopo il 1650 la chiesa, con tutti i suoi diritti e rendite, venne ceduta al monastero basiliano sorto accanto ad essa. Ampliata nel ‘700, attualmente presenta un impianto a navata unica, con un portale laterale in marmo, decorato con aquila bicipite in campo rosso. All’interno si trovano: il mausoleo di Andrea Reres, nobile albanese a cui si deve la costruzione del monastero basiliano; l’iconostasi che contiene delle preziose icone del XVI sec.; una Platytèra di origine cretese; una crocetta athonita di bosso finemente scolpita; medaglioni dipinti sulle pareti laterali della navata da Olivio Sozzi.
 
 
 
 
 

Il “Castello”                                       

La sua costruzione risale all’epoca della fondazione del paese. Non si tratta di un “castello” nel senso classico della parola, ma fu sicuramente in passato una comoda e sicura dimora per il proprietario delle terre di Mezzojuso, dotata di stanze adibite ad alloggi, stalle, magazzini per il deposito di frumento, vino, ecc.. Nel 1132 il feudo di Mezzojuso veniva assegnato da Ruggero II ai monaci di San Giovanni degli Eremiti. Questi, che avevano concesso in affitto tutte le terre ricevute in assegnazione, quando si recavano a far visita a Mezzojuso, usufruivano di questa casa che veniva chiamata “lu castello” come dimora per abitarci. Nel 1527 quando i monaci concedettero in enfiteusi la Terra di Mezzojuso alla nobile famiglia dei Corvino, “lu castello” divenne anche per questi una nobile dimora dove trascorre i soggiorni durante le loro visite in paese. Durante tutto il periodo feudale, ed in particolare tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 si effettuarono dei lavori di ampliamento e di abbellimento che diedero un nuovo aspetto alla fabbrica e che nelle grandi linee è rimasto invariato fino ad oggi. Nel 1844 con l’abolizione della feudalità, la struttura cominciò a perdere pian piano il suo ruolo di palazzo signorile e finì per ricadere in uno stato di completo abbandono. Dopo l’acquisto nel 1984 da parte del Comune di Mezzojuso, la struttura è stata completamente restaurata ed abbellita ed oggi è divenuta sede della Biblioteca Comunale, della Pro Loco Mezzojuso e spesso viene utilizzata per ospitare conferenze e manifestazioni culturali.

 

 
 
 
 
 
 
Le Icone                                                

Nella Tradizione bizantina, le icone rappresentano documenti di interesse storico, teologico e filosofico, oltre che artistico. L’icone, per i fedeli orientali, è Anàmnesi (ricordo-richiamo), è Kèrisma (annuncio-catechesi), è Theoria (contemplazione-preghiera), è richiamo alla Tradizione, è annuncio-dichiarazione di una presenza, è contemplazione-coinvolgimento vitale per un cammino di speranza. A Mezzojuso ben quattro chiese hanno l’iconostasi. In seno alla Tradizione orientale, la trasformazione, dentro la chiesa, del recinto del coro basso e aperto (templon) in muro di iconi o iconostasi isolante il Vima (bema), comincia verso il sec. XI e si diffonde a partire dal XII sec.. Tra le colonne del Vima, vengono poste le icone. Mezzojuso, che fa capo all’Eparchia di Piana degli Albanesi, conserva un enorme patrimonio di icone, alcune portate dall’Oriente, altre fatte venire dalla Grecia, altre dipinte in Sicilia. Buona parte sono di Creta o della scuola cosiddetta cretese, che, dopo la caduta di Costantinopoli, rappresenta il meglio della pittura iconografica.  Fra gli artisti-rivelazione che hanno operato a Mezzojuso, c’è Ioannichios, nato all’inizio del 1600, la cui personalità corrisponde a quella evidenziata dalle icone: a un pittore, cioè, dotato di eccezionale forza e resistenza, fedele, nei limiti della sua epoca, alla tradizione iconografica. A lui sono attribuite sei grandi icone. Sempre della seconda metà del ‘600 è la tavola illustrativa, che accomuna cinque temi iconografici distinti: è la “Epi Si cheri” del ben noto Leo Moschos, appartenente ad una famiglia di iconografi conosciuti a Venezia e nei territori veneziani. Le icone di Mezzojuso, sia quelle ereditate da generazioni passate, che altre prodotte in tempi piu recenti, testimoniano una continuità di fede e di espressione artistica memore di antiche ed originali tradizioni figurative. La Madrice greca di San Nicolò di Mira risalente agli inizi del ‘500, contiene icone bizantine del XV – XVI sec., oltre ad un’iconostasi con icone contemporanee, dipinte ad Atene da Kostas Zouvelos. La Chiesa di S. Maria di tutte le Grazie, concessa agli Albanesi nel sec. XV, offre la più preziosa iconostasi di tutta la Sicilia con iconi del XV-XVI sec. Nella chiesa di San Rocco la serie di immagini, contemporanee, che  campeggiano nell’iconostasi ed in tutta la chiesa, realizzate da Fratel Pietro Vittorino, sono caratterizzate da un disincantato lessico pittorico sempre più distante da ascendenze bizantine e declinato con un fare popolareggiante. Il legame con il passato è anche esplicitato nel rivolgersi a tecniche artistiche di millenaria tradizione, come quella del mosaico, utilizzato per decorare la chiesa del SS. Crocifisso e realizzato da Pantaleo Giannaccari. Sembra mantenersi fedele alla piu “classica” tradizione iconografica Kostas Zouvelos, attivo ad Atene ed autore delle icone che gli vengono commissionate per la chiesa di San Nicolò di Mira. In queste opere, infatti, si notano numerosi riferimenti a capolavori d’arte bizantina ormai musealizzati eseguiti sia da maestri athoniti che cretesi. Mezzojuso, dunque, si pone come autorevole crogiuolo di culture artistiche che oggi, come in tempi passati oltre a produrre opere in loco, non dimentica i legami con la terra di origine da cui vengono ancora importate icone che attestano un interrotto contatto con la più aulica iconografia bizantina. Questo è anche confermato dalle icone delle antiche iconostasi delle chiese della cittadina, smembrate tra la fine del XVIII e il XIX secolo, e adesso tornate ad essere l’espressione di una comunità che con un attento recupero della memoria artistica ha riacquistato, con rinnovato senso critico, tradizioni del passato. Come nei secoli passati cosi anche oggi a Mezzojuso non solo si praticano e si perpetuano liturgie e riti bizantini, ma si perpetuano il desiderio e la volontà di circondarsi di icone, di quelle antiche che costituiscono il patrimonio storico artistico, segno della tradizione e della fede di questa comunità greco-albanese, e pure di altre contemporanee, sia importate, sia ancora una volta prodotte in loco, che evidenziano un legame indissolubile e duraturo tra passato e presente.                                      
 
Chiesa del SS. Crocifisso di rito greco-bizantino

La chiesa del SS. Crocifisso è ubicata in un  quartiere che porta il suo nome, del resto è consuetudine di Mezzojuso, data l’esistenza di numerose chiese, identificare i quartieri con i nomi delle chiese in essi ubicati, infatti abbiamo i quartieri di San Rocco, Santa Maria, Madonna dei Miracoli, Convento ecc. Si sconosce la data precisa di costruzione della chiesa, inizialmente di dimensioni modeste dedicata a Santa Venera, tuttavia si pensa che sia esistita prima del 1618 poiché, da un registro ritrovato si rileva che, in tale data, in questa chiesa venivano seppelliti i fedeli defunti. A partire dalla seconda metà del ‘600 si avviarono, per volere della confraternita, i lavori di ampliamento della chiesa che, inizialmente, fu lasciata in rustico e soltanto nella seconda metà del ‘700 furono realizzate, sulle superfici della navata della volta a botte, le decorazioni attuali con stucchi e decori in oro.All’interno della chiesa si può ammirare l’artistica “Vara” del 1648 con il Crocifisso del XV sec., collocata in una cappella sopra l’altare maggiore, chiusa da una porta lignea che reca ventiquattro pannelli dipinti raffiguranti episodi della vita di Gesù e Maria.Nel 1934 accanto alla chiesa venne edificata la Casa Madre della Congregazione Basiliana delle Figlie di S. Macrina, ancora oggi esistente.                

 

  

 

Istituto “A. Reres” ex Monastero Basiliano                                              

Edificato nella prima metà del ‘600, accanto alla chiesa di Santa Maria di tutte le Grazie, per volontà della stessa Confraternita che nel 1601 tenne “una pubblica adunanza, in cui fu proposto e solennemente approvato il progetto di erigere un monastero da cedere a Monaci Greci o Albanesi ai quali fosse ingiunto di professarvi integralmente il rito e la disciplina orientale”. La costruzione del monastero si deve ad Andrea Reres, presente all’adunanza del 1601, in qualità di socio della Compagnia e di Rettore della Chiesa di Santa Maria di tutte le Grazie, che pochi anni dopo l’adunanza, devolse una parte del suo cospicuo patrimonio alla Compagnia di S. Maria, al fine di costituire una rendita da impiegare per la fabbrica del monastero e poi per il sostentamento di almeno dodici monaci Greci o Albanesi, professanti rito e disciplina orientale. Il fabbricato originariamente composto da due piani fuori terra, presenta ancora oggi un impianto di forma quadrangolare; interessante al piano terra il maestoso portico ad ampie arcate a tutto sesto sorrette da robuste colonne di marmo biancastro a venature rosse. Il Monastero, oltre a contenere una ricca biblioteca con rari codici greci e pregevoli cinquecentine, è sede di un importante laboratorio di restauro del libro antico.