Pareti musive

Read English version

“Ne è cuore l’abside con la sua conca: epicentro del microcosmo ecclesiale, focalizza su Cristo Salvatore ogni luce, reale e metaforica. Sotto Gesù Cristo sta sua Madre tipo di ogni illuminazione che Dio riversa su qualsiasi creatura, e più giù è la finestra, aperta ad est, che accoglie la luce del sole nascente; lungo l’asse verticale di centro, null’altro.

I tre registri absidali distinguono nettamente, mediante la misura longitudinale della finestra, la Chiesa terrestre nella quale la presenza della luce è mediata da specchi ed enigmi dalla Chiesa celeste nella quale Cristo è luce faccia a faccia. E’ il collegamento verticale della conca direttamente con l’abside – indirettamente con il bema e il microcosmo ecclesiale -.

Un elemento figurativo ed un elemento coloristico entrano tipicamente nella struttura di base dei nostri mosaici. La profusione di fiori: I nostri mosaici sono infiorati. Festoni, fasce, ghirlande, profili. Un trionfo e una pioggia di fiori, pendants alla gloria e all’irraggiare dell’oro. (Durante i lavori di pulitura negli anni 1977-1978 ho costatato che sui registri della Chiesa celeste i mosaici offrono una profusione inusitata di tessere preziose: oltre ori e argenti, smalti ,paste vitree, ossidiane, agate, diaspri, madreperle….)).I porfidi rossi e i serpentini verdi (già prima accennati)metafora di tutte le polarità teandriche, reggono la nostra decorazione intera alternandosi sistematicamente sia in senso verticale che in senso orizzontale. Lo si osservi (a volte, relazionato alle persone, con la variante del verde in azzurro) nelle colonne e nei capitelli mosaicati dei registri mediani laterali – corrispondenti, nell’abside, al registro inferiore della Chiesa celeste e al registro superiore della Chiesa terrestre sussunti in unità -: nelle strombature e nelle cornici delle finestre; nell’intervallo tra l’arco di apertura della conca absidale e l’arco di chiusura delle crociere; nelle aureole, in certe vesti…

Distesa su piano la conca absidale mostra l’abbraccio del “Pantocratore”all’universo intero e alla storia intera. L’iscrizione tradotta come meglio so, dice: “Fatto Uomo Io Fattore Dell’Uomo e Del(l’uomo che ho)Fatto Io Redentore+Incarnato Giudico La Carne Dio(giudico)I Cuori”. Questa conca è la prima delle tre (tutte in Sicilia) riempite con l’icone di Cristo Pantocratore; è per un cristocentrismo qui allora pervenuto tramite forme di spiritualità taboritica-contemplativa della luce manifestatasi nella trasfigurazione del Signore_. Si valuti, anche tecnicamente, il rapporto del “colore” con la luce della nostra icone (anche tecnicamente nella icone liturgica colore è corporeità, oro è luce). Essa sta in ¾ dell’area iconica. Non a caso. 3 è il mistero della vita divina, 4 è il cosmo: si raffigura la presenza della vita divina nel cosmo. Delle altre due iconi in Sicilia del Pantocratore nella conca absidale una sta e una tende a satre in 4/5 dell’area iconica. Neanche allora a caso, 4 è il cosmo, 5 è il mistero delle persone divine e il mistero dell’unione ipostatica (3+2); si raffigura la presenza del cosmo alla vita divina sottolineando l’incarnazione del verbo di Dio. La teologia è identica ma la spiritualità che la attua è diversa. Iconologicamente quella è ispirata da Dionigi Areopagita, questa da Massimo il Confessore.

Gesù Cristo è Dio-Uomo; perciò gli incoronano la fronte due ciocche di capelli, lo veste un pallio porfido-oro e lo copre un colobio di azzurro.

Egli è re sacerdote profeta; perciò la croce del nimbo è gemmata a corona; dalla spalla destra gli pende sul pallio e sotto il colobio la stola pontificale dalle elegantissime striature verdi su argento in mezzo ai “potamoi”- fiumi – discendenti; le sue mani manifestano interamente la salvezza.

E’ bene insistere sulle mani.

La sinistra regge l’Evangelario – fermagli rosso-oro, taglio e inquadratura verdi; dorso oro, pagina bianca -.

La destra si atteggia al gesto di chi impone il silenzio (il gesto di benedizione “alla greca” è diverso; nelle nostre iconi è, ad esempio, quello dell’apostolo Paolo).

Infatti ogni libro di rivelazione è chiuso dinanzi al vangelo aperto; i soli profeti svolgono i loro volumi-cartigli poiché han parlato prima di lui per prepararne l’ascolto. Le dita della mano destra rivelano il mistero della vita divina(3) e il mistero dell’unione ipostatica (2).

Le dita della mano sinistra (secondo la metafora sopra esposta) indicano il cosmo a cui egli si rivolge: infatti, il pollice sorregge l’evangeliario dalla parte opposta e rimane nascosto lasciando in visione soltanto quattro dita.

Al cosmo egli dice, in greco e in latino affinché tutti capiscano (la basilica cattedrale raccoglieva greci e latini): Io Sono La Luce Del Cosmo Chi Segue Me Non Camminerà Nelle Tenebre Ma Avrà La Luce Della Vita+.

E’ il collegamento orizzontale della conca absidale con il bema e l’intero microcosmo ecclesiale. Inutile qualsiasi discorso sulla bellezza, sempre dovunque celebratissima, del nostro Salvatore trasfigurato.

La Madre di Dio, giovane principessa, anch’ella ha abiti di porfido e di azzurro ma, al contrario del Figlio divinità che assume umanità, lei umanità che assume divinità, è vestita di pallio azzurro crociato d’oro, coperta di maforio porfido listato e crociato d’oro con frange rosso-azzurre attorno il corpo e d’oro sul cuore. Calza, come le creature celesti e i re, pantofole di porpora poggiando, lei sola, su cuscino di porpora gemmato.

Tipo di ogni illuminazione che Dio riversa nell’Universo, è l’unica creatura tra le creature angeliche, le quali, anzi, si rivolgono a Lei; ed è unica donna raffigurata nella decorazione musiva. Lei, cioè, è tipo della Chiesa: le sue mani nell’atteggiamento tradizionale dell’orante; attaccato alla sua cintura il velo liturgico del calice e del sangue. Perciò Uriele, Raffaele, Gabriele e Michele, giovani principi, si rivolgono a Lei in abito e atteggiamento diaconale. Alati, vestono tunica, dalmatica sontuosa, stola gemmata; calzano pantofole gemmate, cingono sui capelli diadema gemmato. Sono messaggeri disponibili – con le verghe derivate all’abbigliamento della corte bizantina dal labaro costantiniano – e vanno al servizio liturgico – con gli emblemi dei pani lievitati e segnati per l’eucaristia-.

Gli svolazzi dei nastri dentro le aureole provengono da tutto un itinerario culturale. Conobbe questo emblema,che i persiani avevano appreso dai Cinesi, la Normandia inglese e lo diffuse sino a noi; è il “chi” cinese, nuvola convenzionale. I nostri mosaici, a metafora del celeste, la usano ma usano anche – nella crociera; ed è novità – la nuvola realistica.

Le ali angeliche sono mosaicate con penne-luce a cui si aggiungono penne-colore a sette tonalità, con l’espediente di racchiuderle tra due oscure, la più bassa delle quali degrada e la più alta contrasta. Nelle sei ali dei serafini le penne-luce si riempiono di occhi. La suggestione è biblica, l’ispirazione è liturgica. I serafini che nella visione di Isaia cantano il trisagio non hanno i molti occhi; li hanno invece i tetramorfi dlla visione di Ezechiele (che noncantano il trisagio) e i quattro animali della Apocalisse che nella visione di Giovanni cantano il trisagio. Dice invece la preghiera eucaristica della liturgia di Giovanni Crisostomo: “….i serafini dalle sei ali, dai molti occhi, sublimi, volanti, che cantano, gridano, acclamano l’inno del trionfo esclamando e dicendo: Santo, Santo, Santo…..”. Nei nostri mosaici i serafini sono raffigurati proprio per il canto del trisagio; essi aleggiano infatti sull’altare eucaristico piantato precisamente sotto la chiave di volta della loro crociera infiorata oltre la quale, sublimi, essi volano sulle nuvole celesti con i cherubini.

La visione raffigurata è dunque quella di Isaia e il raccordo è con l’Apocalisse: dal Santo, Santo, Santo dell’antica alleanza al medesimo canto della nuova alleanza. Ciò mi fa ipotizzare che la crociera rimasta senza decoro sulla parte anteriore del bema si sarebbe arricchita della visione di Ezechiele e della visione di Giovanni per far correre da una crociera all’altra lungo l’intero Santuario il coro del trisagio.

Dice infatti la preghiera eucaristica della liturgia di Basilio Magno, enumerando tutti i nove cori delle creature celesti – e attribuendo piuttosto ai cherubini i molti occhi -;”…gli angeli, gli arcangeli, i troni, le dominazioni, i principati, le virtù, le potestà, i cherubini dai molti occhi, i serafini dalle sei ali – due che gli coprono il volto, due che gli velano i piedi, due che li fanno volare – passandosi l’uno all’altro con voce instancabile e senza fine la dossologia, cantando, gridando, esclamando e dicendo : Santo, Santo, Santo…..”. I cherubini – splendore – stanno con i serafini – ardore – del trisagio, per analogia alla loro ubicazione sul propiziatorio e sull’Arca ordinata da Dio a Mosè.

Il collegamento dell’abside con la crociera – collegamento verticale – in risposta al collegamento verticale della conca, è eucaristico. Dalla Madre di Dio-Chiesa orante passa agli angeli diaconi e da essi ai serafini con i cherubini cantori. Emblematicamente ne regge la struttura iconologica il numero 12 (4 figurex3 ordini).

Ugualmente eucaristico è il collegamento dell’abside con il bema – collegamento orizzontale – in risposta al collegamento orizzontale della conca. Dalla Madre di Dio-Chiesa orante passa agli apostoli concelebranti nella divina liturgia e da essi ai santi pontefici e ai santi diaconi concelebranti anch’essi.

Emblematicamente ne regge la struttura iconologica il numero 12 (6 figure x 2 ordini, gli apostoli dell’abside; 4 figure x 3 ordini, i pontefici e i diaconi nel bema).

Nell’abside, i due semicori degli apostoli sono guidati da Pietro “principe” (Roma) e da suo fratello Andrea “protoclito” (Costantinopoli”; entrambi raffigurati con la croce del loro martirio. Per esigenza del simbolismo numerico, degli “undici” non sono raffigurati Giacomo il Maggiore e Taddeo che lasciano il posto agli Evangelisti Marco e Luca; il dodicesimo posto è assegnato a Paolo.

Nel registro superiore l’evangelista Marco sta a lato di Pietro e l’evangelista Luca a lato di Paolo. Tutti, eccettuato Andrea, tengono in mano il rotolo delle Scritture ovvero l’Evangeliario gli evangelisti, l’epistolario Paolo. A tutti sulla tunica e sotto il mantello pende dalle spalle la stola sacerdotale rossa con i potamoi d’oro.

Nel bema, il registro inferiore S accoglie i gerarchi orientali, il registro inferiore N i gerarchi occidentali: tutti in prossimità dell’altare; i diaconi stanno sopra – dietro – i pontefici del lato nord. Notevolissimo nell’ordine dei pontefici orientali l’accostamento a tre di Basilio, Giovanni Crisostomo, Gregorio Nazianzeno. Ad un secolo del grande scisma tra oriente e occidente (1054) esso testimonia come la comunione liturgica tra la nostra Chiesa e la Chiesa di Costantinopoli permanesse; infatti appena qualche decennio avanti che il nostro mosaico venisse eseguito la chiesa di Costantinopoli fissò una celebrazione liturgica dei tre santi gerarchi insieme. Basilio è l’autore della preghiera eucaristica che abbiamo citato, Giovanni Crisostomo è il legislatore della divina liturgia bizantina; dirimpetto a lui, Agostino è il legislatore monastico dei canonici regolari ai quali è affidata le basilica cattedrale e, accanto, Gregorio Magno è l’ordinatore della divina liturgia romana.

La liturgia eucaristica ha nel bema anche il suo preannuncio veterotestamentario; i tondi in alto, sotto gli archi S e N della crociera, accolgono Abramo e Melchisedeck.

L’ispirazione è biblica e liturgica. Dice l’anafora romana: “Tu che ti sei degnato di accettare…. Il sacrificio del nostro patriarca Abramo e l’offerta del tuo sommo sacerdote Melchideseck….”. Delle due, Melchisedeck è la figura più intensa. Vestito di azzurro e di rosso, reca sul capo lo “stemma di dignità” (il cubo indicativo di regalità o di sacerdozio). E’ colto nell’atto di invitare alla coppa del pane e del vino che egli sorregge con la sinistra velata dal velo liturgico, secondo il rito bizantino della comunione con cucchiaino; il cucchiaino è immerso della coppa al lato sinistro.

Sulle pareti a nord e a sud, parallelamente al discorso ecclesiale-eucaristico, i mosaici svolgono il tema dei profeti veterotestamentari e un tema aulico con i santi guerrieri – i megalomartiri – e i re.

Il bema è ripartito in tre registri di prosecuzione delle fasce absidali; al disopra risulta un’area privilegiata legata con la conca absidale agli archi della crociera. La fascia dei profeti è la superiore dei tre registri; i profeti stanno di fianco sopra – dietro – gli apostoli.

Il raccordo è riguardo alla Chiesa “fondata su gli apostoli e i profeti”.

Come gli apostoli essi annunciano e, preannunciando, svolgono i loro rotoli. I quattro profeti maggiori, Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, avrebbero trovato posto nelle campate del santuario rimaste senza decoro e, con essi, i cinque profeti minori non raffigurati con gli altri sette. Questi sono stati ripresi nell’ordine che mantengono nella bibbia ebraica e nella volgata; mancano Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.

L’organizzazione iconografica del bema non dimostra la ineccepibile perfezione dell’abside. I 12 profeti minori sarebbero stati raffigurati coerentemente nelle fasce superiori di tutte e quattro le campate del bema (3×4); invece la metà composizione eseguita presenta Osea nell’area privilegiata N, affiancato a Mosè.

Probabilmente nella metà da eseguire sarebbe stato raffigurato Elia (Mosè ed Elia sono due profeti testimoni della Trasfigurazione sul Tabor con i tre apostoli Pietro, Giacomo , Giovanni); ma l’ordine sarebbe rimasto ugualmente sconvolto. Non tutte le pericopi dei cartigli sono scelte organicamente; ad esempio, Mosè parla della prima creazione e Osea della seconda creazione, Gioele della pentecoste e Amos dell’era messianica; ma, addirittura, Giona o Michea indicano i nudi “incipit” delle loro profezie.

Come gli apostoli, portano semplici calzari sui piedi nudi. Sulla tunica e sotto il mantello gli scendono dalle spalle potamoi d’oro ma non su stola. Molti (come Michea) additano Gesù Cristo.

Il santuario è diviso in due parti oltre l’area dell’abside, dalle due crociere e dai passaggi verso la protesis e il diconicon. Al limite di tali passaggi sotto la crociera mosaicata, stava a S il trono del Vescovo e a N il trono del Re. L’area corrente dall’uno all’altro costituiva la solea dinanzi all’altare. Pertanto il re in trono guardava la parete S del Bema. Perciò la fascia del registro inferiore S privilegiava San Nicola patrono del regno e la fascia del registro mediano, escludendosi dall’organico della celebrazione liturgica diretta, gli raffigurava i santi guerrieri e martiri Teodoro, Giorgio, Demetrio e Nestorio. Sono icone particolarmente curate. Il vescovo in trono, a sua volta, guardava la parete N. Perciò la fascia del registro inferiore N raffigura i santi diaconi Pietro, Vincenzo, Lorenzo e Stefano.

Il discorso aulico, però, è specialmente quello che, intrecciandosi con l’organicità liturgica, coinvolge Abramo, David e Salomone. Se di fronte al trono del vescovo veniva a trovarsi Melchisedeck sommo sacerdote, di fronte al trono veniva a trovarsi Abramo “capostipite” di re”. Nella stessa area privilegiata. A sud, sono raffigurati i re. Cingono la corona a cuffia con pendagli, gemmata; calzano pantofole di porpora gemmate. David sotto la tunica. Salomone sopra raffinata calzamaglia. David si rivolge alla Chiesa, sposa abbigliata per lo sposo, con il salmo epitalamio del Messia Re; Salomone si rivolge al figlio della sapienza che egli ammaestra, con stralci dei suoi proverbi.

Entrambi (come Abramo) additano Gesù Cristo. Se nella navata centrale il capitello di David e Salomone realizzato da Ruggero identifica entrambi i re biblici con il Re fondatore della basilica cattedrale, ora la metafora si sdoppia, Guglielmo I, realizzatore di questa decorazione musiva, è succeduto nel regno a Ruggero. I re biblici stavolta raffigurano – con probabilità anche nei tratti somatici – i due re normanni, padre e figlio. E l’insieme, con Abramo capostipite benedetto da Dio, era un auspicio augurale”.