La tomba di Sofonisba Anguissola

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 Una lapide posta nella navata destra della chiesa di San Giorgio dei Genovesi di Palermo  ci ricorda la  pittrice Anguissola Sofonisba, nata a Cremona  nel 1531 e morta a Palermo nel 1625

 

Allieva di Bernardino Campi e di Bernardino Gatti, divenne ben presto talmente celebre che venne invitata in Spagna (dal 1560) alla corte di Filippo II. Si sposò con F. Moncada  (1571), fratello del viceré di Sicilia, si trasferì  a Palermo (1580 circa) e in seguito a Genova (1584), donde ritornò più tardi a Palermo. Attraverso l’educazione eclettica del Campi, l’Anguissola sentì l’influsso della scuola di Raffaello e del Parmigianino e per mezzo del Gatti l’arte del Correggio. Dipinse principalmente ritratti, di buona fattura e di grande spontaneità. Furono pittrici anche le sue sorelle Lucia (m. 1565), Elena, Minerva, Europa, Anna Maria, che ella spesso ritrasse (Partita a scacchi). Morto il marito F. Moncada, non avendo più nulla che la legasse a Palermo, pensò di ritornare nella sua città natale di Cremona, ma per una serie di coincidenze, sulla nave incontrò un uomo più giovane  di lei, si innamorò e lo sposò. Nel 1615, con  secondo marito, l’amato Orazio Lomellini, si trasferisce ancora e definitivamente a Palermo, dopo un soggiorno a Genova di 35 anni. Il marito, carico di onori e di impegni, le comprò una casa nel Quartiere del Seralcadio dove l’ormai anziana pittrice continuò a dipingere nonostante le difficoltà alla vista che la portavano pian piano all’abbandono della sua arte. Ma la sua fama l’aveva preceduta a Palermo e certamente venne consultata dalla “Nazione Genovese” di Palermo, quando furono commissionati (a Genova) i quadri per la nuova Chiesa di San Giorgio dei Genovesi.Nel 1624 la peste infuriava sulla città e ne fu vittima anche il Viceré Emanuele Filiberto di Savoia. Era a Palermo, proprio in quei giorni, per un ritratto del Viceré, l’allievo di Rubens il grande Antoon Van Dych. Il pittore olandese si recò a far visita  alla collega anziana pittrice che qualche anno prima lo aveva preceduto alla “Corte di Spagna”. Van Dych, che redigeva un suo diario, la trova pronta di memoria e di mente, cortesissima e ancora piena di interessi e di vita. Così scrive nel suo taccuino: “ancora contò parte della vita di essa, per la quale si conobbe essere pittora de natura et miracolosa et la pena magiore che hebbe era per un mancamento di vista de non poter più dipingere”. Il pittore le fece quindi un ritratto e lei lo pregò di non ritrarla troppo dall’alto,”a ciò che le ombre nelle rughe della vecchiaia non diventassero troppo grandi”. Malgrado i suoi due matrimoni Safonisba non ebbe figli e tenne sempre vivi i contatti con i lontani nipoti di Cremona e con il figlio naturale di Orazio Nomellini. La grande vecchia della pittura italiana fu attiva fino all’estate del 1625. Il 16 novembre dello stesso anno morì e fu sepolta a Palermo nella Chiesa di San Giorgio dei Genovesi. Purtroppo  la sua tomba è scomparsa, ma il marito, a futura memoria, ha fatto posare nella chiesa dei genovesi una commossa lapide, nel centenario della sua nascita. Questa lapide ci presenta Sofonisba  in modo quasi perfetto:”Alla moglie Sofonisba, del nobile casato degli Anguissola, posta tra le donne illustri del mondo per la bellezza, straordinarie doti di natura, e tanto insigne nel ritrarre le immagini umane che nessuno del suo tempo potè esserle pari, Orazio Lomellini, colpito da immenso dolore, pose questo estremo segno di onore, esiguo per tale donna, ma il massimo per i comuni mortali”. Sofonisba Anguissola lasciò diversi dipinti, conservati nelle pinacoteche di mezzo mondo e insieme ad Artemisia Gentileschi, Rosalba Carrera ed Angelica Kauffman è annoverata tra le pittrici più grandi della storia. I suoi autoritratti, il ritratto di Filippo II, “la partita a scacchi”,  i ritratti di Isabella di Valois e di tutta la famiglia dei Reali di Spagna la pongono nell’Olimpo dei grandi pittori, ma a noi non resta che questa umile pietra che ne esalta le doti e le virtù, in fondo alla navata destra della bellissima Chiesa di San Giorgio dei Genovesi.

 

 

Fonte: Treccani