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“A porta di Termini finiva l’Albergheria e aveva inizio la Kalsa, la cittadella fatimita del X secolo raccordata dalla ruga del Malvallone alla vicina Fiera Vecchia e che ospitava le meravigliose chiese della Trinità e di San Nicolò dei Greci , e un’enorme area chiamata Platea degli Asini: da lì la ruga degli Alemanni conduceva al monastero dell’ordine dei teutonici. Le rughe disegnavano una tela di ragno, partivano per altre direzioni verso il quartiere della Loggia dimora di mercanti, genovesi, amalfitani, pisani, catalani……Queste rughe avevano nomi diversi: ruga del Bove, ruga della Trinità, ruga della Fiera Vecchia, ruga verde, ruga dei Bottai, ruga di fra Chierico di Cirino, ruga Regale, Vanella di donna Aloysia di lu laidu etc. Alla Kalsa risiedeva l’Emiro e vi era stato anche l’arsenale degli arabi la Dar as- Sina’ah ormai storpiato in Tarzanà.
Alla fine di via Alloro, verso il mare il palazzo dello Steri, palazzo Abatellis, la chiesa e il convento della Gancia e, verso est, la Chiesa di Santa Maria della Catena.
L’azzurra lingua di mare che si addentrava nella città, segnava il punto di partenza di una linea di confine costituita dal fiume Papireto che ivi sboccava, oltre la quale verso settentrione si poteva ammirare il quartiere del Seralcadio, l’antico trans Papiretum. Anche lì, lungo il fiume Papireto vi erano mulini e in una grande spianata, un immenso abbeveratoio alimentato dalla sorgente chiamata ancora con il suo nome arabo: ‘Ayn’ Rumy o fonte dei cristiani. Lì nei pressi le rughe prendevano nomi altrettanto strani: Ruga del giudice Enrico Di Martino, ruga di Sant’Agostino, ruga del mulino Atkya, ruga di San Nicolò del Bosco, sempre lì sorgeva il grande edificio della “Pannaria”.