Caccamo

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Altitudine: 521 m

Abitanti: 7.886

Corso Umberto I, 78 – Tel. 091.8103111 – Fax 091-8148860

sito web  

Ai piedi del monte Eurako o San Calogero, Caccamo sorge maestosa su una collina a 520 metri sul livello del mare nel tratto inferiore della valle del fiume San Leonardo oggi Lago Rosamarina. Ricca di chiese, monumenti e di opere d’arte può degnamente essere considerata città d’arte e di cultura.  

 

La vastissima superficie del suo territorio che si estende per ben 18.780 ettari, fa sì che l’estensione la fa confinare con i Comuni di: Alia, Aliminusa, Baucina, Casteldaccia, Ciminna, Montemaggiore Belsito, Roccapalumba, Sciara, Sclafani Bagni, Termini Imerese, Trabia, Ventimiglia di Sicilia e Vicari.

 

Diversi autorevoli studiosi hanno indagato e dibattuto sulle sue origini, senza però riuscire a dare una risposta certa e definitiva. Per di più grandi difficoltà ha presentato e tutt’ora rappresenta l’interpretazione dell’etimo toponomastico diventato per gli studiosi un vero rompicapo.
Alcune interpretazioni vorrebbero il termine Caccamo derivante dal punico-cartaginese “Caccabe”; (testa di cavallo, presente nello stemma), dal greco “Kakkabe”; (pernice) o “Kakabe”; (calderone), dal latino “Cacabus”; (pentolone), dall’arabo “Kùkum”; (vaso, marmitta), dal siciliano “Caccamu” (albero di loto).
Più la leggenda che la storia vuole che la città sia stata fondata intorno al IV – V secolo a.c. ad opera dei Cartaginesi, questi ultimi a seguito della sconfitta subita nel 480 a.c. a Himera, quando un gruppo di essi, scampati al disastro si rifugiarono verso l’interno fondando una città a cui diedero il nome di Caccabe. Lo storico Agostino Inveges chiama la città la “Cartagine di Sicilia”; e fonda la propria convinzione sulla opinione di Stefano Bizantino, storico greco vissuto nel V secolo d.c., secondo cui in Sicilia esistette un’antica città chiamata Cartagine.
Certo la zona dovette essere abitata da tempi remoti come testimoniano le sepolture a forno dette “grotticelle” sparse nel territorio circostante.
Vi è anche un cenno nel menologio bizantino sul monaco basiliano  Teoctisto, Superiore intorno all’800 del monastero di S. Nicola de Nemore, ancora oggi esistente nei pressi di Caccamo, che lascia presupporre l’esistenza di un centro abitato.
Tuttavia Caccamo, con indiscussa certezza fa il suo primo ingresso nella storia nel 1093, quando, come testimonia un documento, il Conte Ruggero con la fondazione delle diocesi, assegna il centro alla diocesi di Agrigento, sotto cui resterà fino al 1176, data in cui con la creazione della diocesi di Monreale, passerà alla chiesa palermitana.
Nel 1094 la città di Caccamo viene concessa in feudo a Goffredo de Sagejo, signore normanno venuto in Sicilia al seguito di Ruggero. Alla sua famiglia il feudo rimane per circa mezzo secolo, prima di passare alla famiglia Bonello.
E’ di certo in questo periodo che il castello, a cui è legata molta della storia e dello splendore della città, fu se non più ingrandito reso più forte ed inespugnabile, tanto da essere scelto da Matteo Bonello e dai suoi compagni come rifugio, dopo il fallimento della così detta “congiura dei baroni”: il 10 novembre 1160 Bonello tese un agguato a Majone davanti al palazzo arcivescovile e lo uccise mentre gli altri baroni imprigionavano il Re. Il popolo spaventato andò in soccorso del Re e lo liberò riportandolo al potere e quindi costringendo Bonello e i suoi baroni a rifugiarsi al castello.
Guglielmo I giurò vendetta e organizzò un esercito attaccando il castello, ma  quest’ultimo risultò inespugnabile. Allora cambiò tattica fece credere a Bonello di averlo perdonato; abrogò le riforme contro i baroni e gli permise di nuovo di frequentare la corte. Bonello cascò nel tranello e durante una giornata a corte fu assalito e rinchiuso al palazzo dove fu torturato sino alla morte.
Il castello tornò a essere possedimento reale finchè alla morte di Guglielmo I la vedova Margherita di Navarra cedette la baronia a un signore francese, Giovanni Lavardino. A seguito di controversie con gli abitanti però, egli fu costretto dai cittadini ad abbandonare la città. Dal 1169 al 1203 la città ritornò al demanio con delibera del Parlamento riunito a Messina.
Nel 1203, durante la dominazione sveva fu sotto la signoria di Paolo Cicala, e successivamente affidata all’arcivescovo di Palermo Bennardo del Castagno. Nel periodo angioino venne assegnata a Fulcone Podio Riccardi, figlio del Vicario di Carlo D’Angiò, e subì anch’essa, come del resto tutta la Sicilia, la tirannide angioina.
Scoppiata la rivoluzione del Vespro la città insorse e suoi arcieri parteciparono all’assedio del castello di Vicari dove si era asserragliato Giovanni di Saint Remy, giustiziere della Val di Mazara e lo uccisero. Con la cacciata degli angioini e l’instaurazione del regno degli aragonesi la città venne concessa a Federico Prefoglio, la cui figlia la portò in dote a Federico Chiaramente.
Inizia così per Caccamo il periodo chiaramontano, uno dei più importanti. Sotto il loro dominio la città godette di molte libertà, si arricchì di nuovi monumenti ed edifici, fu costruito il ponte sul fiume San Leonardo (oggi sommerso dalle acque del lago-diga Rosamarina) ed ampio sviluppo ebbe la sua economia. Dal punto di vista architettonico fu esempio dell’ inconfondibile stile “Chiaramontano”, il castello fu ampliato e fortificato con una cinta muraria, furono erette le due torri che più tardi, si pensa, vennero trasformate nelle torri campanarie del Duomo e della Chiesa dell’Annunziata, e la Torre di Pizzarrone o Byrsarone.
Nel 1302 il maniero resistette all’assalto degli angioini, sbarcati nella vicina rada di Termini; intanto la signoria di Caccamo veniva elevata a Contea prendendo il nome di Chiaramonte.
Come tutte le grandi dominazioni anche questa finì. La famiglia Chiaramonte  in contrasto con i Catalani venne perseguitata e definitivamente distrutta il 1 giugno 1392 con la decapitazione dell’ultimo erede Andrea dinanzi il Palazzo Steri a Palermo.
I beni dei Chiaramonte vennero confiscati e Caccamo fu concessa dal Re Martino il Vecchio a Gueraldo Queralt ordinando che la Contea riprendesse l’antico nome e cancellasse quello che avevano dato i precedenti signori. I caccamesi però, rimasti fedeli alla famiglia chiaramonte, anche perché durante quel periodo avevano goduto di ampie libertà, si ribellarono alla nomina del Queralt, assediarono nella rocca i catalani che vi si erano rifugiati e ne cacciarono e dispersero il presidio.
In seguito a questo episodio Re Martino il Giovane, dispose che la città di Caccamo non sarebbe stata mai più affidata ad alcun barone. Pochi mesi dopo però, contraddicendo quanto aveva stabilito, invio come signore Otto Moncada. Contro costui, anche per istigazione di Enrico Chiaramonte, insorgevano ancora i caccamesi, costringendo il Re a mandare il suo congiunto Giacomo de Prades, che dopo grandi sforzi per occupare la città, due anni dopo ne diventava il signore. A lui si devono un ulteriore ampliamento e abbellimento del Castello, la costruzione di fortificazioni particolarmente efficienti, al fine di prevenire eventuali nuove ribellioni dei sudditi, rendendo più sicuro il sistema difensivo del castello e la costruzione del grandioso monastero di S. Francesco. A Giacomo Prades successe Giovanni Bernardo Cabrera, figlio del Gran Giustiziere del Regno, che aveva sposato la figlia del Prades Donna Violante. Sotto il governo dei Prades-Cabrera, che soggiornarono quasi ininterrottamente nel castello, Caccamo conobbe un periodo di profonde trasformazioni economiche e sociali; furono definiti i confini territoriali con Termini Imerese ponendo fine ad una secolare contesa.
In seguito alle nozze di donna Anna Cabrera con Federico Henriquez, ammiraglio di Castiglia, avvenute nel 1480 per volontà di re Ferdinando il Cattolico, al fine di impedire una eventuale unione di questo grande e potente feudo con un altro di pari entità, la contea di Caccamo passò alla famiglia Henriquez-Cabrera, sotto la cui signoria rimase fino al 1646. La città ebbe il periodo di maggior splendore della sua storia: vengono erette nuove chiese, conventi, nascono istituzioni di beneficenza, aumentano gli abitanti e il castello viene ulteriormente ampliato. Seguirono così due secoli di illuminato governo, durante i quali non si verificò alcuna rivolta, la città si estese gradualmente assumendo un assetto urbanistico più ordinato, ebbero notevole impulso le attività produttive e fiorì un raffinato artigianato di apprezzabile livello artistico.
Nel 1641, don Giovanni Alfonso Henriquez de Cabrera, signore di Caccamo e di Modica, grande Almirante di Castiglia, ricevette la nomina a viceré di Sicilia ed il 16 maggio dello stesso anno fece il suo ingresso ufficiale in Palermo. Il 12 novembre 1643 Caccamo fu dallo stesso elevata al rango di città;, ripristinando il titolo di «urbs generosissima», attribuito alcuni secoli prima dall’imperatore Federico II, caduto poi in dimenticanza, conferendole anche tutti gli onori e privilegi concessi alle altre città del Regno. Nel 1646 quando Filippo Amato Principe di Galàti succedette agli Henriquez Cabrera, la contea fu elevata alla dignità di Ducato. Ma questo riconosciuto prestigio coincise con un periodo infelice per la città che fu soggetta alle ingiustizie ed angherie del nuovo signore, e molte nobili famiglie furono costrette ad allontanarsi dalla città.
Alla morte di don Filippo (1653), gli succedette il figlio, don Antonio Amato, signore dotato di spirito liberale e generoso a cui si devono un restauro del castello e la Porta Antonia più tardi demolita. Estintasi la famiglia Amato, nel 1813 la signoria di Caccamo passò alla famiglia De Spuches di cui si distinsero Don Giuseppe De Spuches marito della poetessa Giuseppina Turrisi Colonna per opera della quale il Castello divenne centro di cultura e di fasto.
Successivamente Caccamo partecipa agli avvenimenti che determinarono la storia della Sicilia e dell’Italia. I moti, le rivoluzioni, insurrezioni per la cacciata dei borboni e la costruzione dell’unità d’Italia.