Festino di Santa Rosalia

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La devozione di Palermo per la sua Patrona è legata storicamente alla liberazione della città dalla peste del 1624/25, mentre la Sicilia  si trovava sotto la dominazione spagnola.

Un fatto storico che assume nel tempo come una veste leggendaria che comunque non basta a spiegare come i palermitani si sentano così legati alla loro “Santuzza” e la onorano ogni anno con un festino sempre più grandioso, sin dalla prima festa-processssione avvenuta il 9 giugno 1625.

   “Viva Palermo e Santa Rosalia” grida dal carro trionfale  il Sindaco, ogni anno, prima di omaggiarla con un grosso fascio di rose a indicare il grande affetto della cittadinanza verso la propria piccola Santa. Un affetto irriducibile, familiare. Forse Rosalia per noi rappresenta una dolce amica che nei momenti di difficoltà non ci può deludere e che ci è sempre vicina con la sua voce calda in ogni momento, in ogni casa e in ogni condizione. I palermitani onorano  la Santuzza con il “festino” il 15 Luglio di ogni anno. Una festa tra le più spettacolari d’Europa e una delle più straordinarie manifestazioni religiose del mediterraneo. Rosalia è nata a Palermo in epoca normanna ed è stata ancella nella corte della Regina Margherita di Navarra, moglie del re Guglielmo I; si è poi ritirata presto in penitenza in una spelonca di Monte Pellegrino, dove è rimasta fino alla morte, attorno al 1183. Rosalia era figlia del duca Sinibaldo della Quisquina e delle Rose (località tra Bivona e Prizzi), nipote per parte di madre di Ruggero d’Altavilla, ed era cresciuta alla corte normanna di Palermo. Durante una battuta di caccia su monte Pellegrino, allora ricco di selvaggina, Ruggero fu salvato dall’aggressione di un leone  dal principe Baldovino; in premio, quest’ultimo chiese al re la mano di Rosalia. Sentendosi consacrata al Signore, la fanciulla fuggì dal Palazzo Reale, vivendo da eremita prima sul monte Quisquina, dove trascorse dodici anni, e poi fino alla morte, in una grotta su monte Pellegrino. Forse Rosalia fu monaca basiliana, di rito greco, così come viene raffigurata nella più antica icona a noi pervenuta. La “verginella” venne sepolta dentro la grotta dove visse, ma i palermitani non la dimenticarono mai e la invocarono sempre con il titolo di “Santuzza”. Nemmeno gli artisti si erano mai dimenticati e come protettrice dalla peste la rappresentarono in diverse opere, ormai, sparse nel mondo. Ma una terribile peste sconvolse Palermo tra il 1624 e il 1626; Su una popolazione di 120.000 abitanti ne morirono quasi 30.000. Il 7 maggio 1624 attraccò nel porto di Palermo un veliero proveniente da Tunisi con un carico di regali per il Viceré principe Filiberto di Savoia. Dopo un momento di incertezza, in quanto si sospettava la peste a bordo, il Pretore della città Don Vincenzo del Bosco, mal  consigliato prima e poi convinto dal Viceré, acconsentì allo sbarco. Quasi subito si manifestarono i primi casi di peste che non risparmiarono nessuno, e vennero subito allestiti alcuni lazzaretti ma ormai la città era in ginocchio. Sul monte Pellegrino, in quei giorni, si scavava su indicazione di una visionaria, certa Geronima La Gattuta che inferma per una grave malattia aveva sognato una fanciulla vestita di bianco che le prometteva la guarigione se si fosse recata sul monte Pellegrino in penitenza. Sciolta la penitenza, non appena giunta sul monte, ancora in sogno, Rosalia le indica una grotta e il luogo del suo sepolcro. Dopo alterne vicende, cominciati gli scavi, il marinaio Vito Amodeo, amico della La Gattuta, trova un teschio ed un masso in cui erano  incastonate tante ossa pietrificate, era il 15 luglio 1624. Subito si fece il collegamento con la “Santuzza” e le ossa furono portate, nonostante la peste, a Palermo. Gli esami sulle ossa ritrovate furono lunghi e contrastati ma il popolo, che nel frattempo vedeva in questo ritrovamento un segno di speranza, chiedeva univocamente la possibilità di onorarle. Si era diffusa nel frattempo la ricerca delle pietre alabastrine su cui erano posate le reliquie e l’acqua della grotta che accoglieva il sepolcro che, posati sugli infermi, avevano prodotto delle improvvise guarigioni. Si parlò di miracoli e il 27 luglio 1624 il Pubblico Consiglio stabiliva di onorare Rosalia come Patrona di Palermo.  Ma la peste continuava ad infuriare e le reliquie erano conservate in Santa Cita. Il 13 febbraio 1625, un giovane saponaio della Panneria – Vincenzo Bonello – che cercava rifugio sul monte Pellegrino, deluso e affranto dopo la morte della consorte, mentre stava per farla finita, incontrò una giovane pellegrina che lo induceva ad andare dal Cardinale Giannettino Doria per comunicargli che le reliquie trovate erano le ossa di Santa Rosalia e per far finire la peste bisognava portarle in processione.

Bonello morì quattro giorni dopo, come era stato predetto, e in confessione aveva rivelato il contenuto dell’avvenuto incontro. Il Cardinale informato sciolse gli indugi e dopo avere proclamato l’autenticità delle reliquie e averle poste in un’urna d’argento le fece portare in processione. Era il 9 Giugno 1625, il popolo tutto e le congregazioni religiose fecero a gara per onorare Rosalia. Il Senato allora stabilì di costruire a proprie spese una cappella sul monte ed una nella Matrice e che il 15 luglio di ogni anno l’urna argentea dovesse essere portata in processione.

Il 4 settembre 1625 era stato pubblicato il “bando per cessato male”, cioè la peste era finita.

Il 26 gennaio 1630, il Papa Urbano VIII inseriva Santa Rosalia nel Martirologio Romano, dove di Rosalia veniva   fissata l’origine palermitana, la stirpe regale risalente a Carlo Magno, la paternità di Sinibaldo, cavaliere di re Ruggero, l’episodio di Baldovino e la vita eremitica sui monti della Quisquina e Pellegrino. Il culto della Santa si diffuse per il mondo, specialmente là dove arrivarono i “palermitani”, attraverso le immagini e i canti, in specie “U Triunfu ri Santa Rusulia” divulgato dagli orfani “orbi” allevati dai Gesuiti nelle loro scuole. Le sponde dei carretti che portavano dipinte le storie della Santa  e i grandi pittori che arricchirono le chiese con i loro quadri hanno divulgato il culto di Santa Rosalia ed hanno accresciuto sempre più l’amore dei palermitani per la loro Santuzza.