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Il vestibolo dingresso, meglio noto come sottocoro poiché appunto ubicato al di sotto del coro delle monache, è diviso trasversalmente in tre profonde campate di medesima altezza, voltate a crociera, da due coppie di alte colonne di ordine tuscanico in marmo grigio di Billiemi.
Lungo le pareti del suddetto sottocoro si aprono tre vani, due sulla destra ed uno sulla sinistra, i primi due corrispondono uno al vestibolo del portale dingresso laterale della chiesa, e laltro al battistero, eretto nel 1938 per volontà dellallora parroco mons. Giuseppe Fecarotta su disegno dellarchitetto Francesco Valenti. Il terzo ampio vano sulla sinistra aveva originariamente la funzione di sagrestia dei sacerdoti; da alcuni decenni ha assunto quella di salone parrocchiale.
Le pareti e le volte del sottocoro sono decorate da stucchi bianchi profilati in oro realizzati nel 1723 dallo stuccatore Procopio Serpotta, figlio del grande Giacomo, coadiuvato dagli stuccatori di liscio Niccolò Sanseverino ed Antonino Romano. Autore delle partiture delle volte e del disegno progettuale degli stucchi fu larchitetto Gaetano Lazzara, che diverse volte aveva lavorato a fianco dellarchitetto Giacomo Amato.
Le pareti e le volte sono altresì ornate da trentuno scomparti ad affresco realizzati fra il 1722 ed il 1723 dal pittore fiammingo Guglielmo Borremans. Su ciascuna delle due pareti laterali vi sono due coppie di affreschi racchiusi allinterno di cornici di stucco raffiguranti alcuni episodi tratti dalla biografia di San Domenico: a destra Lannegamento degli eretici albigesi di Tolosa e Lapparizione della Vergine Maria, accompagnata da Santa Caterina dAlessandria e da Santa Maria Maddalena, a fra Lorenzo da Grotteria in Soriano Calabro, a sinistra La risurrezione di Napoleone Orsini per intercessione di San Domenico e Lapparizione della Vergine a San Domenico.
Sulla parete di controfacciata, ai lati del portale dingresso, vi sono altri due quadroni ad affresco, entrambi scenograficamente sostenuti da una coppia di angeli in stucco. Quello di sinistra raffigura il rogo dei libri proibiti di fronte agli eretici, quello di destra San Domenico partecipa alla crociata contro gli eretici albigesi.
Le volte sono invece articolate in maniera più complessa. La volta della campata centrale presenta al centro, allinterno di un grande scomparto, la Gloria di Santa Caterina da Siena, in cui la santa senese, coronata di spine e circondata da angeli e putti, è accolta nei cieli da san Domenico, da Cristo e dallOnnipotente.
Al centro della volta della campata laterale sinistra è raffigurati invece il sogno del beato Guala de Roniis, ovvero la visione mistica, da parte del beato Guala, vescovo domenicano di Brescia, dellascesa di san Domenico al cielo per messo di due scale sostenute da Cristo e dalla Vergine Maria.
Lo scomparto centrale della volta della campata laterale destra presenta invece Lapparizione della Vergine Maria al beato Reginaldo dOrléans e a san Domenico, in cui la Vergine, accompagnata da santa Cecilia e da Santa Caterina dAlessandria, risana il beato Reginaldo e gli porge lo scapolare domenicano.
I restanti scomparti delle volte sono interamente dedicati al ramo femminile dellOrdine. Presentano infatti effigi di sante e beate domenicane. Lassenza di iscrizioni identificative (ed in alcuni casi di attributi iconografici) non ha permesso lidentificazione di alcune di esse. Altre, invece, sono state identificate con successo grazie appunto agli attributi iconografici presenti nelle raffigurazioni.
E il caso della beata Margherita di Savoia, principessa di Acaia e marchesa consorte del Monferrato, vissuta fra il XIV ed il XV secolo. Nata a Pinerolo, nei pressi di Torino, fu la prima delle quattro figlie di Amedeo di Savoia-Acaja, signore del Piemonte, e di Caterina di Ginevra. Per volere dello zio Ludovico di Savoja sposò il marchese Teodoro II di Monserrato, molto più anziano di lei, da cui non ebbe figli. In seguito alla morte del consorte si trasferì ad Alba, sua ultima dimora terrena, dove fondò, insieme ad alcune compagne, il monastero claustrale di Santa Maria Maddalena.
Nello scomparto affrescato ella è raffigurata semidistesa su una nube rosea, con indosso labito domenicano.
Sul suo capo vi è una corona e nella mano destra tre lance, suo usuale attributo iconografico. Tali lance, secondo le varie biografie, le furono offerte da Cristo stesso ed erano lemblema di tre flagelli:la malattia, la calunnia e la persecuzione. La beata, davanti alla richiesta di sceglierne una, le scelse tutte e tre. Per i ventanni successivi a tale avvenimento ella sopportò con pazienza e rassegnazione, nel silenzio e nellisolamento, malattie, sofferenze e afflizioni di ogni genere.
Al suo fianco è presente un agnello, simbolo allegorico di mansuetudine ed innocenza.
Altro soggetto di cui è stata resa possibile lidentificazione è Margherita da Città di Castello (altrimenti nota come Margherita della Metola), terziaria domenicana recentemente canonizzata da papa Francesco tramite la canonizzazione equipollente. Ella nacque cieca e deforme a Métola, possedimento nello stato pontificio di Massa Trabaria (oggi Mercatello del Metauro nella provincia di Pesaro-Urbino), presumibilmente alla fine degli anni ottanta del duecento, da genitori (Parisio ed Emilia) appartenenti alla piccola nobiltà cittadina. Questi ultimi, a cui parve un peso troppo grave ed umiliante una figlia priva di vista e dogni bellezza, decisero di costruirle una cella presso la chiesa del castello in cui dimoravano per nasconderla alla vista. Un giorno essi la condussero alla vicina Città di Castello, presso il sepolcro di un pio frate minore morto da poco (fra Giacomo da Città di Castello, morto nel 1292 in odor di santità), per implorare, per sua intercessione, la guarigione miracolosa. Tale miracolo non avvenne e Margherita fu dai genitori stessi abbandonata in quella città.
La santa visse girovagando e mendicando il vitto fino a quando fu accolta nel locale monastero di S.Margherita, da cui fu in seguito espulsa. Trovò quindi un approdo nella casa dei coniugi Venturino e Grigia, dove si cominciò ad attribuirle miracoli e dove visse in orazione e praticando forme penitenziali, indossava labito del TerzOrdine domenicano e frequentava la chiesa dei frati predicatori.
Morì nella casa di Venturino e Grigia, munita dei sacramenti a lei impartiti dai frati domenicani,nel 1320.
Nellaffresco è raffigurata anchella semidistesa al di sopra di una nube, con indosso labito monacale domenicano. Al suo fianco, adagiato sulla nube, è un giglio, simbolo di castità purezza. Sul lato sinistro del suo petto è visibile, tramite unapertura della tunica, un cuore con tre piccole sfere, suo attributo iconografico per eccellenza. In seguito alla morte, durante il processo di imbalsamazione del suo corpo, furono infatti rinvenute sul cuore tre piccole pietre sferiche. In una di esse vi era limmagine di Gesù bambino, in unaltra quella della Vergine incoronata ed infine nella terza quella di San Giuseppe. Tale avvenimento miracoloso fu considerato una conseguenza della devozione che la santa professò in vita per la Sacra Famiglia e della costante meditazione sul mistero dellincarnazione.
Altro attributo presente nella raffigurazione, piuttosto inusuale nelliconografia della santa umbra, è il Salterio, ovvero il libro dei 150 salmi di Davide, che ella sostiene con la mano sinistra. Le biografie narrano infatti che Margherita, nonostante la sua cecità, avesse imparato a memoria tutti i suddetti salmi, che recitava quotidianamente insieme allufficio della croce e a quello della Vergine.
Fra le beate presenti nel ciclo pittorico è presente altresì la beata Lucia, una religiosa domenicana, probabilmente terziaria, quasi totalmente sconosciuta. Dalle biografie emergono pochi elementi. Certo è che fosse di origini francesi e che sia morta prematuramente il 3 di dicembre di un anno imprecisato. La religiosa è raffigurata nella stessa posizione delle altre beate menzionate precedentemente, nellatto di cavarsi gli occhi con la mano destra per mezzo di un pugnale. Al suo fianco vi è inoltre un putto che sorregge un vassoio dargento. Si narra infatti che per sfuggire alle costanti proposte di un giovane che si era invaghito di lei, ed in particolar modo dei suoi occhi, ella stessa avesse deciso di cavarseli con un ferro e di spedirli al suddetto giovane allinterno di un piatto (o di una tazza). Con la mano sinistra sorregge invece un mazzo di gigli, simbolo della sua purezza e castità.
Altra religiosa presente nel ciclo pittorico è SantAgnese di Montepulciano, raffigurata nellatto di prendere nella mano destra una piccola croce appesa al collo di Gesù bambino. Un evento mistico particolare della vita della santa fu appunto quello dellapparizione della Vergine, che le pose fra le braccia il divino bambino. Non volendo più separarsene, Agnese prese allora la piccola croce appesa al suo collo. Altri attribui iconografici della santa presenti nellopera sono il giglio ed il manto nero dellabito monacale ricoperte di piccole croci bianche. Nelle biografie si narra infatti che quando ella pregava il suo mantello si ricoprisse di uno strato di manna sottile, come neve, che si divideva in piccoli granelli bianchi a forma di croce. Il vescovo stesso, che presiedette alla consacrazione di Agnese, si ritrovò tutto scintillante di manna caduta dal cielo, e ne fu ricoperto anche laltare, tanto che i presenti ne raccolsero a piene mani.
Di altri due soggetti si ha unidentificazione incerta. Uno di essi raffigura una religiosa nellatto di abbracciare e sostenere il corpo di Cristo appeso alla croce e di essere abbracciata a sua volta da questultimo. Verosimilmente potrebbe trattarsi di santa Caterina de Ricci data la presenza nella sua biografia di tale avvenimento miracoloso. Potrebbe tuttavia trattarsi della beata Stefana Quinzani da Soncino, che visse la stessa esperienza mistica della santa fiorentina.
Laltro soggetto raffigura una religiosa col petto trafitto da una misteriosa freccia che contempla unOstia che fuoriesce dal vicino tabernacolo dirigendosi verso di lei allinterno di un fascio di luce. Al di sopra della religiosa vi è inoltre una colomba in volo. E verosimile che si tratta della beata Imelda Lambertini, nota per via di questo miracolo. Potrebbe però trattarsi della beata Colomba da Rieti. Nelle biografie di questultima è descritto infatti lo stesso evento. Altro elemento a conferma di ciò potrebbe essere la colomba già menzionata, attributo iconografico per eccellenza della beata reatina.