Bisacquino – Santa Maria del Bosco di Calatamauro

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Il Monastero di Santa Maria del Bosco viene fatto risalire al XIII secolo.
La notizia storica più remota risale al 21 giugno del 1308, data nella quale il romitorio preesistente ottiene dal vescovo di Agrigento l’autorizzazione della Chiesa. Nel 1309, il vescovo di Agrigento consacrava la chiesa e la dichiarava Basilica il 22 Luglio. Essa viene affidata alle cure dei Benedettini che accrescono, anche tramite lasciti e donazioni, la potenza economica del Monastero. Nel 1433 il Re Alfonso concesse al suddetto Monastero la completa esenzione fiscale.
La chiesa occupa un’area di mq.2.205,54 è ad unica nave con cappelle, a croce latina e con cupola; L’esterno della basilica rimase grezza ad eccezione della facciata principale e del campanile. Questo fu eretto tra il 1623 e il 1627 per cura ed opera dell’Abate don Vittorio da Napoli.
Quanto ai quadri i più importanti sono da considerare quelli di “S. Rosalia” di Vito d’Anna (1766), la “Sacra Famiglia” del Postiglione (1856), poi “S.Benedetto” dell’ Angeletti, la “Madonna della Consolazione” del Lo Forte, “la Madonna” di A. Manno (1818).
Degno di speciale attenzione nella sacrestia, un quadro del fiorentino Filippo Paladino che raffigura “S. Francesca Romana” , del 1613. Nella sala che mette in comunicazione il chiostro con la chiesa, si poteva ammirare un mausoleo sormontato dall’effigie dell’infantessa Eleonora d’Aragona, attribuita al Laurana (XV sec.). Morendo lei a Giuliana, nel 1405, i monaci le eressero quel monumento illustrato da una epigrafe la quale ricorda alla posterità il suo amore verso il monastero. Il mezzo busto oggi si trova nel Museo Abbatellis.
Con dispaccio reale del 1784 i monaci Olivetani furono espulsi dal monastero in seguito all’ispezione ordinata dal vicerè Caracciolo, e ripartiti fra le sedi siciliane dei benedettini cassinesi.
Tolti i benedettini bianchi e fallite le disposizioni del sovrano per conservare chiesa e monastero, in meno di dieci anni, questi vennero a deperire. Le popolazioni dei dintorni nel 1794 che con la confisca dei beni del monastero, si vedevano private tra l’altro di un centro di commesse di lavoro ottennero dieci anni dopo da Ferdinando IV che il monastero fosse affidato agli eremiti agostiniani. Il 14 Febbraio 1808, con sovrana risoluzione, venivano riassegnati al monastero nuovamente tutti i feudi che gli appartenevano. Questo ritrovato splendore era però destinato a durare poco, infatti nel 1866 con la “legge di soppressione dei monasteri” iniziava il suo rapido e definitivo declino. I comuni circonvicini, con petizioni invocavano il Real Governo che almeno il monumento fosse affidato ad alcuni degli stessi monaci i quali senza dubbio avrebbero avuto un particolare impegno a mantenerlo.
Il monastero in buona parte venduto all’asta, ad una nobile famiglia Inglese, è divenuto un’importante centro aziendale agricolo, con il vantaggio non indifferente che almeno il monastero venne conservato nelle opere murarie  e nelle coperture . La situazione della chiesa e dell’appartamento abbaziale, affidati invece al “fondo culto” non è delle migliori.
Molti danni si sono susseguiti e la storia più recente è purtroppo una triste cronaca. Gli eventi sismici del 1968 nella Valle del Belice, hanno profondamente provato le strutture della chiesa e la parte di monastero di proprietà ecclesiastica, privi ormai da molto tempo di manutenzione. Ai dissesti dovuti al terremoto si susseguiranno infatti drammatici crolli nel 1970-72 e nel 1980-81.
A seguito di recenti studi nonché dei convegni promossi in loco dall’Associazione Culturale “Nicolò Chetta” di Contessa Entellina e patrocinati dallo stesso comune, nel cui territorio sorge l’abbazia, nonché dai  quattro comuni limitrofi (1985, 1986, 1988) l’arcivescovo di Monreale responsabile di una parte dei fabbricati e della chiesa, ha conferito l’incarico di restauro della parte di sua pertinenza  al  Prof. Arch. C.Filangeri, al Prof. Ing. A.E.Rizzo, docenti della facoltà di architettura di Palermo e al Dott. Ing. E.Calabrese. Impegno principale del programma è quello di restituire alla funzione tradizionale la chiesa.
Tuttavia nell’area delle cappelle distrutte è stato previsto l’inserimento di parti innovative che dovranno consentire usi alternativi dell’invaso della chiesa ricostruita; la realizzazione di due cavee sovrapposte in grado di ospitare trecento posti a sedere disposti in maniera che fronteggino le cappelle settentrionali rimaste, a comporre un assetto teatrale di particolare suggestione.Nella parte di fabbricato di pertinenza della curia si prevede che siano ristrutturate le parti tutelando la memoria del vecchio fabbricato e destinandola ad uso di ospitalità, realizzandovi adeguati servizi indipendenti. Complessivamente è stato prevista una struttura in grado di ospitare quaranta persone con pernottamento e centottanta per solo soggiorno”.
 
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