Ballaro’

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L’Albergheria, uno dei cinque quartieri normanni, situato oltre il Kemonia, assunse questo nome perchè vi vennero trasferiti da Federico II gli abitanti ribelli di Centorbi e Capizzi (Albergaria Centurbi et Capicii). Cuore pulsante dell’Albergheria è oggi il mercato di Ballarò che viene cosi chiamato probabilmente da Bahlara, villaggio presso Monreale da dove provenivano le verdure, gli ortaggi e i venditori che lo frequentavano. Con un uso di origine araba, la strada è oggi letteralmente invasa da cassette di legno: contengono la merce che viene continuamente “abbanniata”; pochi  comprendono il significato letterale, ma tutti sanno che quelle grida, cantilenate con cadenze orientali, intendono reclamizzare la buona qualità dei prodotti. Una vasta scelta di pesci caratterizza le bancarelle: si va dal re dei pesci, il pescespada, all’umile sarda, il pesce dei poveri, tanto che c’è un detto “liccarisi a sarda” che si riferisce a chi ha difficoltà nello spendere. La pasta con le sarde pare sia stata inventata dagli arabi: secondo la leggenda, quando arrivarono in Sicilia nel IX sec. avrebbero raccolto il finocchietto selvatico sulle colline e l’avrebbero subito unito a delle sarde un pò malconce, che avevano trovato nel porto di Mazara, per rinvigorirne l’aroma.
A Ballarò un po’ discosto, quasi sottobanco, si vendono le acciughe sotto sale: la passione siciliana per questo gusto è forse una reliquia del grande successo riscosso in tutto il Mediterraneo, nei tempi antichi, dal garum, la prelibata salsa che sia i Fenici che i Romani ottenevano facendo fermentare al sole il pesce in grandi vasche.
La società contadina fino a tempi molto recenti ha invece privilegiato la carne come status symbol. Al mercato come in tutte le carnezzerie (parola dialettale derivante dallo spagnolo), grossi quarti di carne sono appesi all’esterno delle botteghe: questa consuetudine, che tanto stupisce i visitatori stranieri, è teoricamente illegale anche se largamente tollerata, e origina dalla macellazione rituale prescritta nelle religioni semitiche (quindi ebrei) per fare scolare tutto il sangue dell’animale. 
Le olive da tavola sono artisticamente sistemate su bancarelle specializzate: sembrano in equilibrio precario ma naturale al tempo stesso, divise come sono in “munzeddi“, ciascuno di sapore e prezzo diverso e incorniciato da rametti di rosmarino. Tra gli ortaggi esposti: Le fave che ci riportano all’antica Roma: pare che il maccu derivi dalla “puls fabata”, la zuppa di fave di cui parla Plinio. Le erbe aromatiche (alloro, basilico, origano, peperoncino), ingredienti fondamentali della cucina mediterranea, sono onnipresenti.
Davanti a un’osteria di Ballarò, siamo incuriositi da un grande cesto coperto da uno straccio a quadri bianchi e blu. Gli irriducibili aficionados del cibo di strada sanno che tiene in caldo i grassi di maiale, la cosiddetta “frittola“, che, insieme al musso e alla quarume, solo gli iniziati possono apprezzare.
 Il mercato si raggiunge dalla vicina via Maqueda.